di Agnese Cremaschi
“È triste un pianeta abitato da giovani le cui dita sfiorano più cellulari che volti”, così recita e in modo molto realistico, una frase del poeta e scrittore contemporaneo Michelangelo da Pisa, molto in voga sui social, fotografando con questa toccante affermazione, un’abitudine invalsa tra la gente di ogni ceto, età e grado d’istruzione: l’uso eccessivo degli smartphone, subentrato a ogni modalità di contatto e rapporto umani più diretti e fisici, sostituiti da forme virtuali, esasperate all’eccesso, di interazione, autoisolamento e dipendenza.
Di qui il fhubbing. Espressione anglosassone che gli psicologi hanno coniato da alcuni anni a questa parte, unendo le parole phone (telefono o cellulare) con snubbing (snobbare, ignorare, trascurare). Il fenomeno inquadra, dunque, un tipo di comportamento anomalo che vede chi usa il cellulare adottare in maniera costante: ignorando chi sta vicino e non interloquendo più con quest’ultimo.
È un dato di fatto inequivocabile che lo smartphone sia entrato nella vita di ognuno di noi in modo travolgente e più spesso del solito ormai in modo totalizzante. Ovunque e in qualsiasi situazione. Il telefonino ha rubato la scena. Onnipresente, questo dispositivo ha rotto gli argini e devastato gli equilibri nelle relazioni umane, in famiglia, tra amici, tra colleghi, tra persone, le più varie, nelle più diversificate circostanze del nostro comune vivere quotidiano.
Occorre correre ai ripari, siamo tutti diventati, inutile negarlo, smartphone dipendenti e artefici/vittime del phubbing.
Presso l’Università del Kent è stata condotta una ricerca significativa, pubblicata sul Journal of Applied Social Psycology. Un gruppo di psicologi ha constatato le conseguenze inevitabili di annullamento dei rapporti umani diretti e personali, visivi, uditivi, tattili, verbali, emotivamente e razionalmente coinvolgenti, in quanto l’impiego costante dello smartphone li ha effettivamente azzerati.
Nella ricerca sono stati interpellati 153 studenti universitari, i quali, entrando in gioco tra loro in modo biunivoco, hanno dimostrato diversi gradi di phubbing. In ogni caso documentando come prova assolutamente evidente che l’uso improprio dello smartphone comporta forme di «esclusione sociale» tendenti a svalutare i rapporti umani con conseguenze deleterie nell’autostima, nell’interazione, nel controllo, nell’isolamento autoindotto, nell’intreccio relazionale più semplice a quello più complesso e responsabile.
Da parte degli studiosi è emersa la speranza che una presa di coscienza di questo fenomeno che ha “ucciso” i rapporti umani, o consapevolezza del suo incrinarli e destabilizzarli, porti a un uso più razionale e adeguato del dispositivo tenuto in mano.
L’irrefrenabile impulso di non poter fare a meno dello smartphone tende a disconnettere le persone vicine tra loro, inficiando le capacità umane d’interazione, rendendo queste ultime evanescenti se non inesistenti, sostituite al cento per cento dalla realtà virtuale e pseudo-connettiva dello smartphone, quando le relazioni umane strette o di prossimità sono non più interrotte, ma surclassate, addirittura elininate in modo imponderabile e invasivo dal cellulare.
Un’altra ricerca condotta in Danimarca ha evidenziato come tale uso compulsivo del cellulare sia comunque accettato comunemente, sebbene ritenuto sgradevole e non rispettoso. In tale contesto si è coniata l’espressione, derivante dal greco antico (a-crasis, mancanza di fusione), di «acrasia digitale», ossia l’incapacità di interagire in modo razionale con le persone vicine, sospettando addirittura l’insorgenza di alterazioni cerebrali.
Un altro aspetto emerso è stato quello di inquadrare i soggetti artefici/vittime di phubbing come, a loro volta, siano presi dalla paura di essere estromessi dal mondo di Intenet e social, di qui l’uso parossistico dello smartphone.
Ulteriori ricerche hanno stimato il fenomeno come dovuto ad ansia e depressione, ma anche a un disturbo emotivo della personalità, definito neuroticismo. Si è inoltre giunti alla constatazione che il phubbing sia indice conclamato di scarsa intelligenza sociale, vale a dire la netta incapacità di relazionarsi con il prossimo, indotta, condizionata, diffusa dall’uso inadeguato dello smartphone, non tanto nell’intento raggiunto di ignorare chi sta vicino, ma proprio di non intendere più il nesso della prossimità di una persona, non sapendo più distinguere o capire il perché e il percome della relazione umana diretta coinvolgente e consapevole, in quanto il mondo fittizio venutosi a creare con l’uso esagerato dello smartphone, come rifugio e unico punto catalizzatore di concentrazione delle proprie reazioni, le inibisce totalmente rispetto alla realtà più palpabile, ma non più avvertita come tale, delle relazioni umane a tu per tu.
È auspicabile che al più presto si ripristino autentiche relazioni umane, dando allo smartphone lo spazio ridimensionato e utilitaristico che gli compete, senza più che le danneggi o le renda inattuabili, non in alternativa anomala e patologica rispetto ai rapporti umani diretti, ricostruendo e recuperando, sul piano psicologico, mediante sedute o corsi appositamente congeniati, e l’adozione di regole di comportamento consono, la bellezza e l’efficacia delle capacità empatiche d’interazione umana, arrivando finalmente a comprendere in modo maturo e responsabille che mai un cellulare potrà sostituirsi a esse o farne le veci.