In Italia gli anziani fragili e non autosufficienti necessitano di una maggiore tutela sanitaria
di Agnese Cremaschi
«Con più di 1 miliardo di euro in due anni e l’avvio della sperimentazione di una prestazione universale che consentirà di aumentare di oltre il 200% l’assegno di accompagnamento degli anziani più fragili e bisognosi, diamo finalmente risposte concrete ai bisogni dei nostri oltre 14 milioni di anziani, ai non autosufficienti e alle loro famiglie». Così si è espresso il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni nei giorni scorsi, davanti ai giornalisti in conferenza stampa, riguardo all’esigenza nazionale di fornire un’assistenza sanitaria adeguata alla popolazione anziana con gravi problemi di salute.
A queste parole fanno eco le proclamazioni del Ministro della Sanità, Orazio Schillaci, il quale, sempre tramite comunicato stampa, ha voluto sottolineare l’impegno del Governo, approvando «un provvedimento importante con cui diamo concreta attuazione alla legge delega sulle politiche in favore delle persone anziane. L’Italia è tra le nazioni più longeve al mondo e dobbiamo fare in modo che questa longevità sia accompagnata da un buono stato di salute e una migliore qualità della vita». Lo stesso ministro ha poi osservato che le cure domiciliari, la tutela della salute mentale, l’inclusione sociale, l’accesso ai servizi socio-sanitari devono rispecchiare la presenza dello Stato per la tutela e il benessere degli anziani.
Un’altra riforma della sanità si prospetterebbe in vista di un miglioramento delle politiche a favore degli anziani fragili e non autosufficienti, onde evitare il sovraffollamento delle strutture di Pronto Soccorso e ridare vita finalmente a compagini micro-territoriali con l’obiettivo specifico di assistere esclusivamente i pazienti anziani più gravi. Distinguendo altresì tra cure domiciliari e adeguati spazi di assistenza sanitaria pubblica di eccellenza ubicati localmente sul territorio. Ed ecco che allora la Legge di Bilancio 2024 metterebbe a disposizione delle Regioni 250 milioni di euro per il 2025 e 350 milioni dal 2026 anche per assumere il personale necessario alle case di comunità e irrobustire il servizio pubblico a tutela della salute degli anziani più fragili e non autosufficienti. Cifre e promesse programmatiche che non bastano, però, secondo l’opinione di chi affronta il problema con un coinvolgimento diretto e personale, come il coordinatore di Anaste (Associazione Nazionale Strutture Territoriali) Sebastiano Capurso.
Il Presidente di Anaste ha evidenziato, infatti, criticità allarmanti riguardo alle ancora vaste lacune delle iniziative pubbliche in ambito sanitario pro anziani fragili e non autosufficienti, in occasione di un recente convegno, tenutosi a Roma il 25 Gennaio scorso presso la sede della Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta) in Via di Porta Castello 44: “Residenza Sanitaria Assistenziale. La corretta comunicazione per tutelare le persone fragili. Diritti negati ad anziani, operatori sanitari, imprese e famiglie. Troppi equivoci sulla terza età. 10 milioni di italiani in attesa di risposte”. Dal convegno, pertanto, con i contributi dei vari relatori intervenuti, tra assessori, coordinatori e operatori sanitari e giornalisti, sono emerse, e si è fatto chiarezza a riguardo, problematiche tuttora non risolte relative alle RSA pubbliche presenti su tutto il nostro territorio nazionale.
Con alcune eccellenze nel Centro-Nord, ma tante carenze irresponsabili nel Sud. Facendo pensare in modo preoccupante che l’articolo 32 della nostra Costituzione non venga affatto rispettato, secondo i parametri assai manchevoli delle politiche sanitarie più recenti e attuali. Quando un assessore lombardo, poco tempo fa, aveva dichiarato ai media che le RSA «si chiuderanno da sole», dubbi e perplessità sulla volontà politica locale e nazionale di rimodulare, ripristinare, far rifunzionare tali strutture sanitarie appositamente predisposte alla cura delle persone anziane più fragili e non autosufficienti, vengono a galla con notevole inquietudine.
Intanto, anche i finanziamenti promessi non risultano sufficienti. Indagini statistiche, tracciate su tutto il territorio nazionale, molto attente e attendibili, hanno dimostrato che occorrerebbero almeno 2 miliardi di euro per far fronte quest’anno e il prossimo ai problemi che tuttora affliggono le RSA. E il Governo avrebbe, invece, stanziato per la questione in oggetto solo un mezzo miliardo di euro. Inoltre, tra le molteplici situazioni critiche, che sussistono da lungo tempo ormai dentro queste specifiche strutture pubbliche, si è fatto presente che gli operatori sanitari non sono sempre all’altezza in termini di specializzazione nel settore geriatrico e gerontologico, e sono poi in numero molto basso rispetto alle aspettative ed esigenze riscontrate sul territorio nazionale, nonché la loro retribuzione economica e contrattuale risulta molto sottostimata e per nulla dignitosa.
Ultimamente, come segnalato da direttive europee, si è anche provveduto alla creazione di un numero di emergenza nuovo, introdotto in alcune regioni (Lombardia, Piemonte, Lazio, Sardegna, per esempio), che si affianchi o alterni al 112, al 115, e al 118: l’116.117 per corrispondere alle richieste di aiuto delle famiglie con persone fragili e non autosufficienti a carico. Purtroppo la sua operatività non si è ancora concretizzata anche per mancanza di personale e l’assenza di una corrispettiva programmazione amministrativa.
È necessario, dunque, che venga ripensata la modalità di assunzione e preparazione del personale sanitario nelle RSA, partendo anche e soprattutto da un principio di pietas ed empatia verso i pazienti anziani, e realizzando a tal fine campagne di sensibilizzazione tra la popolazione più giovane, affinché sia spinta e persuasa ad abbracciare l’attività infermieristica e socio-sanitaria a favore delle patologie anziane più gravi, che devono essere curate e tutelate in spazi adeguati, come le RSA, senza più stravolgere, come purtroppo, al contrario, sta accadendo, le realtà già in subbuglio delle agenzie di Pronto Soccorso.
Infine, si è anche rilevato che da parte dei media si tende a porre in cattiva luce e in modo scorretto la realtà medica delle RSA, calcando la mano su fatti di cronaca incresciosi, e non dando per nulla notizia di talune realtà sanitarie di eccellenza, che pure sono presenti sul territorio. La crisi economica, la mancanza di una maggiore sensibilità a livello politico e sociale, la farraginosa burocrazia non fanno che aumentare il disagio a riguardo anche delle dinamiche interne alle RSA. E ciò comporterebbe, data la cattiva informazione e le altre gravi contingenze strutturali in atto, come conseguenza, una ripercussione in negativo nella necessità di rivalorizzare le stesse RSA, di cui si ha ancora una percezione non corrispondente all’effettiva realtà.
Stereotipi e luoghi comuni contribuiscono a far sottostimare l’importanza della visibilità di queste strutture pubbliche, la cui realtà umana, sanitaria e sociale sta versando in prossimità di un suo declino culturale e operativo, volto a non più far riaffiorare «il bollino di qualità» delle RSA, come meriterebbero, ma a limitandosi a descriverne un regresso inquietante, nei termini di una realtà sanitaria in affanno.