Salute mentale: un disagio globale

La situazione è grave. Colpiti soprattutto i giovani

di Agnese Cremaschi

«Il dolore della malattia mentale è qualcosa che ti urla dentro e non riesce a uscire. Il dolore che ti avvolge in manicomio a volte è solo un pretesto per una condanna più grande, una calunnia del destino, o forse un castigo di Dio. Sono convinta che dal dolore possa nascere una grande passione per l’Aldilà. Si vorrebbe morire, però al tempo stesso si ha la speranza di vivere». Così riportava in un suo scritto “la poetessa dei Navigli” Alda Merini, descrivendo la sofferenza e il disagio procurati dalla malattia mentale.

Tale tipo d’infermità e malessere è stato oggetto di una recente indagine allargata a tutte le zone del pianeta, portata avanti dai ricercatori di uno studio programmatico denominato “Global Mind Project”, eseguito in 71 Stati sparsi nel mondo e coinvolgente un campionario di più di 400.000 persone. In base a quanto emerso dal rapporto stilato dagli studiosi di questo lavoro (Mental State of the World Report), la situazione a livello mondiale del benessere mentale registra attualmente una realtà disfatta in tutte le latitudini e la popolazione giovanile, in particolare, sarebbe la più colpita. Sono contesti umani con un forte disagio che destano allarme. In parole povere: il mondo è impazzito.

L’umanità sta soffrendo sul piano psicologico e neurologico, a causa della malattia mentale. Questa fotografia della popolazione mondiale malata di mente esige che siano presi provvedimenti strutturali e si realizzino misure di riabilitazione organiche, che vanno anche oltre l’aspetto terapeutico e clinico, e concernono stili e abitudini di vita. Gli studi scientifici e le indagini mediche che sono giunti a questa conclusione hanno esaminato con scrupolosa diligenza le cause di questi dissesti psichici documentati nelle comunità mondiali, dove la modernità, il progresso, il benessere materiale, le risorse economiche ragguardevoli, lo stato avanzato della produzione industriale hanno fatto risaltare condizioni esistenziali in cui la salute mentale è seriamente compromessa, ha subito un danneggiamento o deterioramento in modo importante.

Nel rapporto sopra citato sono elencati alcuni “fattori di follia” determinanti la fragilità psichica ormai estesasi in tutto il pianeta. Sono menzionate, per esempio, quali componenti o concause: un uso improprio e scorretto, ossessivo, dello smartphone; un’alimentazione sbagliata, disordinata, troppo ricca di grassi saturi o sostanze arricchite; la disgregazione della famiglia e la vulnerabilità dei rapporti affettivi.

Tali fattori concorrenti individuano, nella nostra società contemporanea ultra-modernizzata e connessa, aspetti esistenziali che portano al disagio mentale, in quanto il ricorso smodato allo smartphone comporta inevitabilmente l’incapacità di relazionarsi dal vivo e la tendenza a confondere la rete virtuale con la realtà esistente; il mangiare smodato e irregolare disturba il metabolismo con conseguenze che comportano anche anomalie a livello cerebrale o neuronale; il mondo degli affetti e famigliare, quando è sottoposto a vuoti, disordini, squilibri o declini affettivi, comporta un notevole aggravio sul piano emotivo e razionale da interferire in maniera pesante con un buon funzionamento delle attività cerebrali.

Stando a quanto dichiarato dagli studiosi del Progetto, l’iniziativa di misurare l’attività neuronale, constatandone le anormalità, sarebbe partita nel 2014 in India, per opera di una scienziata rispondente al nome di Tara Thiagarajan, la quale, attraverso l’impiego di un copricapo dotato di congegni anche elettromagnetici, verificò come lo stato di salute mentale fosse diverso quando coloro che si sottoponevano all’esperimento abitassero in città allestite di tutti i comfort, o in piccoli villaggi rurali, meno attrezzati sul piano dei servizi e del soddisfacimento del benessere materiale più moderno.

Risultò allora che i residenti delle strutture urbane soffrissero di disagi mentali molto più delle persone che abitavano in paesi più piccoli. Da quel momento maturò nell’arco di sei anni l’idea di fondare “Sapien Labs”, l’ente che ha poi inaugurato e posto in essere il Global Mind Project, al fine di verificare quanto la salute mentale fosse condizionata da stili e abitudini di vita contemporanei e strettamente legati al benessere materiale, come sarebbe inteso e colto nei suoi molteplici aspetti oggi.

Si confezionò, dunque, una sorta di questionario, che doveva analizzare 47 dimensioni della salute mentale, raggiungendo un livello quantitativo misurabile da 1 a 300 punti, secondo i quali si scandagliava il disagio mentale, in base a criteri di giudizio che ne definivano l’entità. Nel 2023 l’esito della ricerca effettuata in vari Stati dal Nord al Sud del pianeta e da Ovest a Est ha fatto registrare una situazione di disagio mentale presente nel mondo ancora gestibile, ma il cui livello di sopportazione è lì lì per essere scavalcato. Con un divario importante, sul piano del disagio psichico, che vedeva la popolazione giovanile più sofferente rispetto a chi avesse superato i 65 anni. Tale inquadramento socio-sanitario e statistico ha altresì confermato come le giovani generazioni reagiscano male rispetto alla “modernità”, subendone i contraccolpi e non riuscendo a gestire i vari fenomeni in cui si trovano coinvolti.

Pertanto, il rischio clinico nel loro caso si è evidenziato elevato. Dal Rapporto si evince come i Paesi Scandinavi siano quelli in cui la salute mentale risulti più compromessa, mentre in altre aree del pianeta, come in Tanzania, o nella Repubblica Dominicana, o in Sri Lanka non vi è quasi traccia di disagi mentali. In definitiva sembra si sia inteso denunciare, attraverso quest’indagine globale, che il progresso, la ricerca del profitto e il benessere materiale riscontrino nella popolazione mondiale più fortunata da questi punti di vista un malessere conclamato sul piano della salute mentale, seriamente danneggiata.

Il benessere psicologico compromesso esigerebbe che si rivaluti maggiormente la componente umana nella ricerca del profitto e del benessere materiale, questi ultimi obiettivi dovrebbero essere gestiti e raggiunti con criteri esistenziali, che siano più attenti agli aspetti umani, sinora trascurati o messi in secondo piano e sotto stimati, se non manomessi, abbandonati e non riconosciuti. Secondo la scienziata Tara Thiagarajan, per recuperare la salute mentale che sta quasi collassando in tutto il mondo, occorrerebbe che l’umanità non valutasse come metro di felicità e benessere soltanto il Pil delle nazioni più o meno progredite o i “mi piace” sui social, ma basandosi piuttosto su un ripristino etico delle relazioni umane, sulla migliore qualità del cibo ingerito e su un consolidamento dell’equilibrio affettivo nei rapporti famigliari.

Solo così si potrà – sostiene la scienziata – registrare finalmente un miglioramento della salute mentale in tutto il pianeta.