di Agnese Cremaschi
«Un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi». Così scriveva Franz Kafka in una sua lettera nel 1903, usando una metafora che potrebbe inquadrare correttamente un rapporto profittevole tra la letteratura e la psicologia. Anche Fernando Pessoa, con una sua frase, esprimerebbe un confronto appropriato tra l’una e l’altra, quando afferma che «i libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi, ci consigliano e si legano a noi con una sorta di familiarità attiva e penetrante».
Pure Giacomo Leopardi offre l’opportunità di considerare in termini efficaci un rapporto confortevole tra l’arte della lettura e l’analisi della psiche, nel constatare che «un buon libro è un compagno che ci fa passare dei momenti felici». Introspezione ed empatia sono due aspetti salienti che fanno parte sia dell’universo letterario, sia del rapporto tra un paziente e il suo analista. Di qui una correlazione tra la letteratura e la psicologia può essere vista come proponibile anche sul piano scientifico, biologico e neuro-fisiologico. In quanto alcuni studiosi di psicologia hanno fatto riferimento diretto ad artisti e filosofi, scrittori e intellettuali, dal momento che, secondo loro, l’umanesimo rientrerebbe nelle variabili della codificazione comportamentale, verso cui gli psicologi indirizzano la loro attenzione.
Lo stesso Freud, in fondo, vedeva come terapeutica la critica biografica. Il psicoanalizzare l’opera artistica aiuta l’indagatore od osservatore dell’animo (o psiche) a conoscere meglio i sintomi del suo paziente. Jung non era da meno: egli infatti affermava che sussistevano rapporti molto stretti tra psicologia analitica e vis poetica. Ecco che emerge allora un altro aspetto da considerare in relazione a questo binomio (letteratura e psicologia), per nulla insolito: la lettura diventa uno strumento terapeutico, volto alla guarigione di un paziente che si sottopone ad analisi. Se sensazioni, emozioni, stati d’animo, umori equivalgono a stati di coscienza, il libro che contiene racconti o poesie o un romanzo funge necessariamente da supporto terapeutico.
L’esperienza della lettura favorisce la ristabilizzazione di una dimensione psicologica prima incerta. Esiste infatti la biblio-terapia. E in questa prospettiva la poesia si traduce automaticamente come un fenomeno di guarigione o liberazione sul piano della psiche, sia per chi la compone, sia per chi la legge. a ogni modo una distinzione occorre farla: ponendo come dato di fatto assodato che lo scrittore indaga l’animo, e lo psicologo anche.
Entrambi seguono, però, due sentieri diversi. Hanno come meta la guarigione o liberazione, ma mentre l’artista si esprime per dare sfogo a intuizioni e sentimenti, lo psicologo li incanala e vaglia secondo parametri e registri tesi a una loro funzione terapeutica, che, se per chi scrive o legge diviene automatico estrinsecare aspetti della personalità, per lo psicologo si tratta di un compito scientifico volto a sistematizzare gli aspetti della personalità onde, conoscendoli, sviscerarli su un piano qualitativamente più rigoroso di miglioramento dell’esistenza e un raggiungimento più ordinato del benessere.
Nulla da obiettare pertanto sulla opportunità che lo psicologo studi o pratichi anche narrativa, arte e linguistica al fine di entrare più adeguatamente in transfert con il paziente. La valutazione scientifica di una seduta psicologica non dovrebbe trascurare la penetrazione umanistica. Avvalersi dell’opera letteraria, di una conoscenza culturale approfondita quindi, per comprendere meglio l’animo e la personalità del paziente, oltre che indagarli sugli scritti e le letture di quest’ultimo, può ritenersi uno strumento e supporto terapeutico assai efficace. Può recare un contributo qualitativo-umanistico, fornire elementi di rilievo anche importanti e orientativi all’indagine scientifica svolta con l’analisi.