Dopo un periodo di tempo piuttosto travagliato, in cui ci si è tutti prevalentemente cautelati, tramite adeguate misure di prevenzione e campagne vaccinali, dalla pandemia da Covid 19, non ancora debellata, ma probabilmente si può, forse, affermare che il peggio sia passato, i medici richiamano l’attenzione, ora più che mai, su un altro problema, non nuovo a dire il vero, ma di vecchia data, che desta un certo allarme: la resistenza dei superbatteri.
La rivista scientifica “The Lancet” su questo specifico aspetto dei processi microbiologici in atto, che ci tocca assai da vicino, ha dedicato un articolo molto ben documentato e anche piuttosto preoccupante, dalla lettura del quale è emerso che nel 2019 sono morti più di un milione di persone, a causa della resistenza dei superbatteri. L’articolo si può visionare, visitando il sito.
Tale problema di natura batteriologica ha comportato nelle nostre strutture sanitarie un tasso di mortalità corrispondente a 11 mila morti l’anno, secondo statistiche definite da indagini scientifiche di una certa importanza a livello nazionale. L’emergenza e l’allarme che ne conseguono inducono alla necessità e all’urgenza di rispondere con efficacia preventiva e metodi reattivi di debellamento contro la presenza invasiva e letale di questi batteri resistenti.
Questo problema dei super batteri resistenti è molto complesso dal punto di vista della biologia e della medicina. Un fenomeno che ci riguarda molto da vicino: l’uso, o meglio l’abuso degli antibiotici lo ha in qualche modo evidenziato e determinato. In Italia, ne consumiamo in dosi elevate; l’acquisto frequente di questi farmaci ha comportato nel nostro organismo una situazione paradossale: siamo diventati più fragili dal punto di vista immunitario e più soggetti a gravi infezioni. Perché si sono sviluppati batteri resistenti agli antibiotici, che sono diventati anche molto difficili da trattare. Un’indagine nazionale risalente al 2016 ha registrato che nelle nostre strutture ospedaliere l’8 per cento dei degenti e dei ricoverati si è infettato con microrganismi antibiotico-resistenti, provocando un’incidenza di mortalità molto sensibile. Tra i germi, responsabili di queste infezioni letali, si annoverano, per esempio, gli acinetobacter. Ma essi non sono gli unici, e la varietà di questi germi resistenti è decisamente sorprendente.
Tale criticità, che desta un certo allarme tra gli operatori sanitari e i pazienti portati in ricovero nei reparti di cura, degenza e intervento, è specificata dall’effettiva presenza di una resistenza antimicrobica (AMR: AntiMicrobial Resistance) molto incisiva e fatale, secondo stime attendibilissime fornite da The Lancet, in base a una recentissima indagine scientifica molto accurata, eseguita su 23 agenti patogeni e 88 combinazioni di batteri, analizzati in ben 53 Paesi europei facenti parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Microbi, quali lo Staphylococcus Aureus e l’Escherichia Coli, sono ritenuti tra i principali responsabili dei decessi avvenuti. Ora, per reagire a questo problema di natura pubblica assai rilevante, occorre ripartire da piani d’azione di contrasto adottando contromisure adeguate, che abbiano come primi approcci il monitoraggio, la cura puntuale dell’igiene e l’accesso ai vaccini.
Ci troviamo di fronte a un fatto allarmante: il nostro sistema immunitario si sia indebolito. A ciò hanno contribuito, per esempio, gli stessi progressi della medicina, come la chemio o i trapianti, poi i cambiamenti climatici e la pandemia hanno contribuito a questo deficit immunitario. Gli studi attuali confermano tale grave constatazione: si è verificata una rottura dell’equilibrio sussistente tra l’attività antropica e l’ecosistema. Assistiamo a una lotta sena quartiere, a una sfida memorabile, tra le creature umane e i batteri. Cambiamento climatico e inquinamento hanno la loro parte non trascurabile, non indifferente di responsabilità. Lo scopo è la sopravvivenza, nel senso darwiniano del termine. Si è osservato, e suffragato su basi scientifiche, che un microorganismo, in questi contesti ambientali e antropici non più in dinamico equilibrio tra loro, sia in grado di sopravvivere a concentrazioni di antibiotico tali da non più inficiarne l’esistenza e la sua moltiplicazione. La controffensiva del farmaco, antibiotico o altro, non ha più dato risultati di attenuamento o annientamento dei microbi resistenti. Studi recenti, risalenti al 2020, da parte del Rapporto Europeo del Centro per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC) hanno registrato una mortalità causata dalla resistenza dei superbatteri pari a 33 mila decessi all’anno nel nostro Occidente. È probabile che l’abuso di farmaci, che si producono, si vendono, si distribuiscono e si somministrano in quantità elevatissima ha indotto i batteri a reagire. A tale proposito occorre tenere presente quest’altro dato: più della metà di un principio farmacologico attivo, quando anche somministrato per via orale, non è assorbito totalmente dall’organismo, ma finisce negli scarichi, e le acque reflue, non sempre smaltite in modo adeguato. E tendono, pertanto, a inquinare l’ambiente. Una massiccia e costante immissione nell’ambiente di farmaci comporta la loro introduzione in contesti industriali e agricoli, corsi d’acqua, compresi laghi, fiumi e mari, suoli coltivati o meno, piante e animali. La biodiffusione e il bioaccumulo di tali sostanze provocano così il fenomeno della antibiotico-resistenza.
Una risposta a questa preoccupante evenienza si riscontra nella necessità di salvaguardare la salute pubblica, provvedendo a un monitoraggio accurato e adeguato, relativo ai valori soglia dei batteri presenti nell’ambiente.
In Norvegia, per esempio, ciò si sta già facendo e si sta tenendo sotto controllo la resistenza batterica. Inoltre, in Scandinavia, si è provveduto, a livello di normativa sanitaria, a limitare l’uso di antibiotici nella produzione alimentare, in particolare finnica, così la salute umana risente molto meno dell’interferenza batterica, arrivando a classificare i farmaci, tenendo conto delle loro specificità ecotossicologiche, così da tutelare in modo più appropriato anche l’ecosistema.
Pure in Svizzera ci si è adoperati, partendo da disposizioni legislative, per proteggere le acque da sostanze inquinanti, tramite depuratori di avanzata tecnologia in grado di eliminare batteri nocivi all’uomo. In Gran Bretagna si è addirittura fatto ricorso a una terapia risalente al tempo del conflitto mondiale, usando i vermi come battericidi per contrastare la resistenza dei germi in infezioni e ferite e nell’abuso degli antibiotici.
Anche tra i neonati si è registrato un alto tasso di mortalità, causata dalla resistenza microbatterica. In Italia, come in Grecia e Portogallo, l’ultimo rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha calcolato un incremento: dal 17% nel 2005 al 30% nel 2015 e raggiungerà il 32% nel 2030, un valore di molto superiore alla media OCSE. Si stima, infatti, che 214.000 decessi ogni anno tra i neonati sono dovuti alla resistenza dei super batteri verso gli antibiotici. I nuovi antibiotici non risolveranno definitivamente il problema, che riguardi i neonati o la popolazione generale a qualsiasi età. Perché la loro efficacia sarà vanificata dopo un certo periodo di utilizzo, per via dei batteri resistenti. Una via d’uscita consistrà, a parere dei medici, dei ricercatori, degli scienziati e degli specialisti nel fare prevenzione. Ciò è di vitale importanza. Limitare la resistenza dei superbatteri si può, adottando contromisure in ambito clinico-ospedaliero come il corretto uso degli antibiotici e le strategie di prevenzione e controllo delle infezioni, vale a dire in primis l’igiene delle mani, lavarsi le mani è un’arma efficace sempre da adottare. Inoltre, ogni struttura sanitaria dovrebbe porre in essere un adeguato e aggiornato “Antibiotic Stewardship Program”, in modo anche di tenere informati medici e specialisti sull’uso corretto degli antibiotici. Se non si agirà in tal modo è probabile che entro il 2050 si rischi grosso: i batteri super-resistenti agli antibiotici saranno la prima causa di morte nella popolazione mondiale prima di infarto e ictus. Potrebbero causare, secondo i più drastici calcoli evidenziati da scienziati e ricercatori e studiosi, dieci milioni di vittime. Questi superbatteri sono conosciuti. Sarà confezionata una classifica nel 2023, già entro il primo mese del nuovo anno. Se ne annoverano una dozzina, la cui pericolosità è stata testata, fra i quali sono da temere molto, secondo gli studi più recenti, l’Acinetobacter, di cui abbiamo accennato sopra, poi lo Pseudomonas e gli Enterobacterales».
Agnese Cremaschi